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Type de textesource
TitreVite dei pittori antichi greci e latini
AuteursDella Valle, Guglielmo
Date de rédaction
Date de publication originale1795
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Date de reprint

, p. 133-135

Soleva con titolo sospeso e imperfetto scrivere APELLE FACEVA, etc. Tutto questo luogo è cavato da Plinio nella Prefaz. Alla Stor. Natur.: Et ne in totum videar Graecos insectari, ex illis mox velim intellegi pingendi fingendique conditoribus, quos in libellis his invenies, absoluta opera, et illa quoque, quae mirando non satiamur, pendenti titulo inscripsisse, ut APELLES FACIEBAT aut POLYCLITUS, tamquam inchoata semper arte et imperfecta, ut contra judiciorum varietates superesset artifici regressus ad ueniam velut emendaturo quicquid desideraretur, si non esset interceptus. Quare plenum verecundiae illud est, quod omnia opera tamquam novissima inscripsere, et tamquam singulis fato adempti. Tria non amplius, ut opinor, absolute traduntur inscripta, ILLE FECIT, quae suis locis reddam: quo apparuit summam artis securitatem auctori placuisse, et ob id magna invidia fuere omnia ea. Non mi è ignoto che sopra queste parole il Renano, il Turnebo, e molti olt’altri critici fanno diverse riflessioni e conghietture per ridurle alla vera lezione. Ma di questo più opportu-

[…] Per ora proporrò solamente una difficoltà senza scioglierla. Dice Plinio : Tria non amplius, ut opinior, absolute traduntur inscripta, ILLE FECIT, quae suis locis reddam : nelle quali parole pare che l’autore prometta di voler a suo luogo specificare, quali fossero le tre opere d’Apelle e di Policleto singolarizzate col FECIT. Ma esuta promessa non si trova mai adempiuta. 

Ma di questo più opportunamente quando avrò meglio esaminato questo luogo e conferito con gli antichi MSS. dei quali aspetto le varietà dagli amici eruditi di diversi paesi. Per ora proporrò solamente una difficoltà senza scioglierla. Dice Plinio: Tria non amplius , ut opinor, absolute traduntur inscripta, ILLE FECIT, quæ suis locis reddam : nelle quali parole pare che l’autore prometta di voler a suo luogo specificare , quali fossero le tre opere d’Apelle e di Policleto singolarizzate col FECIT. Ma questa promessa non si trova mai adempiuta; poiché ne dove parla di Policleto ne dove tratta di Apelle ne in alcun’altro luogo se ne incontra cenno veruno. A questa mia difficolta s’ingegna di sodisfare il Becichemio nel luogo sopracitato, illustrando quelle parole di Plinio: Tria non amplius etc., della Prefazione con quell\'altre del lib. xxxv. c. 10 : Hujus quæ sint nobilissimæ pitturæ, dixit Plinius non esse facile enumerare ; memorat tamen tria illa, quæ absolute et perfecte inscripta traduntur, imaginem Veneris e mari exeuntis, Castorem et Pollucem cum Victoria & Alexandro Magno, imaginem Belli restrictis post terga manibus Alexandro in curru triumphante.  Io non so veramente, quali sieno le narole di Plinio che danno motivo al Becichemio d’affermar questa cosa ; perché se veramente si sapesse quali fossero state le piture d’Apelle contrassegnate col FECE, non avrebbero avuto occasione di dubitar quali meritassero il nome di nobilissime. Anzi da questo numero io escluderei assolutamente l’ultime due lasciando solamente la Venere, e vi ripporei quell’altre delle queli egli scrisse : Peririores artis praeferunt omnibus eundem Regem (cioè Antigono) sedentem in equo, Dianam sacrificantium virginum choro mistam etc. Resta adunque la mia difficoltà in vigore, e non altrimenti disciolta, né Plinio dice in alcun luogo quali fossero le tavole nelle quali Apelle si compiacque di porre il FECE. Al qual proposito non lascerò che il gran Tiziano nel lavorare la tavola della Beatissima Vergine Annunniata per S. Salvadore di Venezia, accorgendosi che chi gli aveva dato l’ordine non era soddisfatto della perfezion di quell’opera, per chiarirlo e confonderlo vi scrisse : Titianus fecit, fecit. Cav. Ridolfi par. I a 185.

Molto avrei che dire sopra l’iscrizion APELLE FACEVA, ma per non avere a ripetere le medesime cose, porrò qui un capitolo del Trattato della Pittura antica, dove si discorre pienamente di tal materia, e intanto servirà per un saggio. Costume degli artefici antichi di scriver nell’opere i nomi loro [[6 : suit un essai p. 135-144]

perché se veramente si sapesse quali fossero state le piture d’Apelle contrassegnate col FECE, non avrebbero avuto occasione di dubitar quali meritassero il nome di nobilissime. Anzi da questo numero io escluderei assolutamente l’ultime due lasciando solamente la Venere, e vi ripporei quell’altre delle queli egli scrisse : Peririores artis praeferunt omnibus eundem Regem (cioè Antigono) sedentem in equo, Dianam sacrificantium virginum choro mistam etc. Resta adunque la mia difficoltà in vigore, e non altrimenti disciolta, né Plinio dice in alcun luogo quali fossero le tavole nelle quali Apelle si compiacque di porre il FECE. Al qual proposito non lascerò che il gran Tiziano nel lavorare la tavola della Beatissima Vergine Annunniata per S. Salvadore di Venezia, accorgendosi che chi gli aveva dato l’ordine non era soddisfatto della perfezion di quell’opera, per chiarirlo e confonderlo vi scrisse : Titianus fecit, fecit. Cav. Ridolfi par. I a 185. Molto avrei che dire sopra l’iscrizion APELLE FACEVA, ma per non avere a ripetere le medesime cose, porrò qui un capitolo del Trattato della Pittura antica, dove si discorre pienamente di tal materia[[6:Della Valle recopie le chapitre de Dati.]].

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